venerdì 5 febbraio 2016

I Tratti dell’Anima – Intervista


di Patrizio Imperato di Montecorvino
“Della verità non c’è che interpretazione, non c’è interpretazione che della verità” 
(Pareyson 1971, p. 53)

“I Tratti dell’Anima”, un Corso-percorso rivolto alle persone che propriamente tendono ad una ermeneutica auto-comprensiva del proprio essere qui ed ora e poter leggere i confini di una verosimile ricerca di quel necessario e dovuto senso dell’esserci; dunque, raggiungere dal suo beninteso come il comprendere del suo dinamico e armonico perché. L’autrice, dottoranda Francesca Benedetti da anni si interessa di questo aspetto ludico, creativo e artistico della fenomenologia umana ed è giunta alla perfettibile formulazione di questo corso-percorso molto apprezzato sia per la sua efficacia, riscontrata da molti dei suoi “allievi” che giungono perciò ad una chiarificazione di senso di quell’orizzonte di vita talora paralizzato da freni emotivo-esistenziali, come dai vissuti trascorsi e talora censurati dall’oblio, che per la sua armonica naturalezza, scevra dai comuni preconcetti ben lungi dai metodi empirici. In una intervista ho chiesto alla dottoranda Benedetti di volermi spiegare in una parola in che cosa consiste il corso, di seguito la risposta : […] un volare verso se stessi, un volare verso l’altra parte di noi che ci sorride e ci guida in ogni minuto della nostra esistenza. Qui c’è il vero contatto con la parte pura di noi senza nessun condizionamento. Fra gli strumenti adottati vi è il disegno. Infatti, la rappresentazione grafica a mò di getto può favorire il primo incontro con la parte più immediata di se stessi, proprio per la spontaneità esercitata, quale peculiare espressione di firma del proprio animo da capire e scoprire con gli strumenti e l’esperienza offerti in questo campo dalla stessa autrice e fautrice del corso. E’ un tema ricorrente ed aggiungo necessario nell’attuale contesto storico, culturale e spirituale nel quale ciascuno di noi ne vive l’esperienza e molti ne subiscono le ingiuste conseguenze, quale effetto di una spirale i cui orizzonti si profilano tenacemente, per quanto apparentemente, a favore dell’individuo; ma pur sempre a danno della eloquente persona che è portatrice della sua irripetibile e dunque storica individualità. Ritornando all’approccio “filosofico” del corso sembra congrua l’implicita constatazione rilevata dalle precedenti edizioni. Provo ad accostare tale assunto in una osservazione teoretica del sotteso principio che sembra emergere anche alla luce di discipline umanistiche (psicologia – filosofia) di riferimento e precipuamente dell’interpretazione ermeneutica. Infatti, fra i molti autori, credo probabile e certamente causale a quanto anticipato da Pareyson che ne  evidenzia anche i due possibili approcci ermeneutici e cioè, a) che la verità risiede nell’interpretazione come stimolo e norma, senza ridursi ad essa; b) che la verità si dissolve nell’interpretazione qualsiasi esito giustifica, nell’assenza di ogni norma da seguire e di ogni distinzione tra fedeltà e tradimento e fra riuscita e insuccesso. Nel primo caso, come spigato dal prof. Giuseppe Martini che ha il merito di aver ripreso ed ulteriormente elaborato temi così importanti quale primario psichiatra e psicoanalista della Società Italiana di Psicoanalisi, ovvero che,  le interpretazioni degne del nome, cioè fedeli e riuscite, sono poche, circondate da una folla di discorsi erronei, falsi e insignificanti. Nel secondo caso vi sono tante interpretazioni quanto discorsi, e tutte le interpretazioni sono vere; anzi non vi sono verità, ma solo interpretazioni, senz’alcuna distinzione. E’ chiaro che nel primo caso il pensiero ermeneutico è dominato dall’angoscia dell’interpretazione, cioè dalla consapevolezza tanto del rischio del fallimento quanto della responsabilità del tradimento. E’ altrettanto chiaro che nel secondo caso l’indistinzione fra verità ed errore assicura un percorso leggero e confortevole, come personalmente ritengo potrebbe essere introduttivo il corso “I Tratti dell’Anima” della dr.ssa Francesca Benedetti. Il padre fondatore di questa ermeneutica comprensiva è il noto filosofo Friedrich Schleirmacher, poiché ne definisce il campo affermando che: dovunque chi percepisce trovi qualcosa di estraneo nell’espressione dei pensieri per mezzo del linguaggio, lì c’è un problema che egli può risolvere solo con l’aiuto della nostra teoria. l’autore vincola l’ermeneutica al confronto con l’estraneità e con il linguaggio da cui fa derivare una funzione implicita di significato fra questi due ponti.  Non da meno è il noto prof. Paul Ricoeur, quest’ultimo propone diverse definizioni di teoria delle regole, che presiedono ad una esegesi, cioè all’interpretazione di un testo unico od anche  un insieme di segni suscettibili, tali da essere considerati come un testo. Nel suo “Il conflitto delle interpretazioni”,  il prof Martini (Cfr. Ireneusz Wojciech Korzeniowski “Per una ermeneutica veritativa” Studi in onore del prof. Gaspare Mura –Roma, 2010 Ed. Città Nuova, p. 120) ci ricorda che Ricoeur così si esprime: si ha “ermeneia” dal momento che l’enunciazione è un cogliere il reale per mezzo di espressioni significanti, e non un astratto di pretese impressioni venute dalle cose stesse. Se nella prima definizione si impegna a cogliere le “intenzioni” del testo e quindi la fedeltà, nell’altra si deve cogliere la creatività, quale percorso non accessorio ma conseguente all’intenzione prosciolta acquisita.  

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